Mostra Personale |Solo Exhibition di Kanaco Takahashi
Dal 8 al 22 gennaio | january 2020
UN SILENZIO CHE DÀ VOCE
呼応する静寂
a cura di | curated by Matteo Galbiati e Raffaella Nobili
Galleria Immaginaria
Via Guelfa 22/a/red, Firenze
Video Un silenzio che dà voce
Video della mostra
Video for ArtBook
Il silenzio appartiene alla struttura fondamentale dell’uomo, è il suo cuore, Sant’Agostino.
A partire dall’8 Gennaio 2020, si inaugura alla Galleria Immaginaria di Firenze la mostra dell’artista giapponese Kanaco Takahashi “Un silenzio che dà voce”. Verrà presentata una serie di disegni a matita montati su tavola parte dei quali realizzati per l’occasione.
Contraddistinguono l’uomo, l’operosità sistematica e il dinamismo organizzativo con la pluralità dei suoni diversi che accompagnano la sua evoluzione. Esistiamo occupando spazi interessati da una complessità visiva crescente ritmata da un brusio di sottofondo che avvolge e stravolge i nostri sensi. Rumori interiorizzati esigono eterna continuità e presenza. Su questi aspetti Takahashi pone il suo pensiero e la sua ricerca riflettendo sulla specificità del silenzio come condizione rigenerante in stretta connessione al vuoto. Concepisce il silenzio come il tempo della sottrazione da una condizione di perenne attività.
Nel 2006 Takahashi si laurea in Giappone con una tesi intitolata Bunkamura Midhill. Coadiuvata dal Professor Emerito Kunikatsu Akanuma, specializzato in urbanistica, Kanaco propone un progetto pensato per una delle aree probabilmente più complesse di Tokyo. Shibuya si estende infatti su una superficie di circa 15 km quadrati; centro nevralgico polifunzionale, è il cuore vivo e pulsante della città, sede di varie attività commerciali, alberghi, mall, love hotel e ristoranti; all’interno di questa zona congestionata c’è un edificio, il Bunkamura destinato ad attività culturali e artistiche di vario genere.
L’artista colloca proprio qui il suo progetto; immagina di sfruttare la naturale pendenza del terreno in quell’area per edificare una struttura luminosa dalla forma arrotondata come i dolci declivi di un colle che, stagliandosi in altezza, crei una discontinuità visiva. L’interno delle spazio, svuotato come una collina dalla terra, riceve luce grazie a un’unica fenditura posta alla sommità della costruzione. Il luogo fisico origina quindi una rottura, una pausa temporale e spaziale in cui chi transita possa alleggerirsi e, tralasciato il senso di costrizione, espandere il proprio spirito riconnettendosi. Al chiasso fragoroso di un vociare squillante assorbito dai rumori cittadini antepone un ordine silenzioso di linee sinuose. L’approccio di Takahashi ha origine in seno al valore estetico giapponese del MA 間.
Il MA 間 è un concetto filosofico complesso applicabile anche a diversi ambiti legati alla percezione del bello come musica, architettura, cinema, teatro etc; può essere reso come intermezzo, pausa, intervallo spazio-temporale tra due elementi discontinui.
Alla luce di questi aspetti si colloca la scelta di dare risalto nel titolo della mostra al silenzio come rivelatore di autenticità. In questa condizione lo spirito si quieta e ogni istanza ritrova la propria dimensione originaria ponendo le condizioni all’ascolto. Il silenzio e il vuoto quindi, da noi spesso concepiti come momenti privi di senso perché funzionalmente poco utili, rivestono per l’artista l’antecedente generatore di uno stato emotivo integro che predisponga l’animo alla contemplazione dei misteri del mondo.
Takahashi si chiede se il cuore dell’uomo racchiuda in piccolo la medesima composizione dell’universo. Esiste una ragione per cui sentiamo la bellezza o possiamo coglierne la fugacità? Da dove viene e a cosa serve il talento? L’artista indaga i moti dell’animo che intimamente ci legano alle cose, ai fenomeni naturali e agli accadimenti che viviamo in prima persona. La matita è lo strumento principale della sua ricerca, mezzo fedele a cui affidare il proprio sentire. La pressione calibrata della mano lungo le linee e nel condensarsi più o meno marcato della grafite, registra l’interdipendenza tra la coscienza dell’artista, l’oggetto ritratto e lo spazio che li contiene. Disegnare è per Takahashi un atto che impiega lo scorrere del tempo come risorsa primaria; il processo non ha come fine la copia pedissequa di ciò che ha davanti ma piuttosto l’espressione di quei valori intimi e nascosti celati allo scrupolo di un’osservazione più scientifica. Stabilendo un rapporto di intima corrispondenza con l’esterno Kanaco può sondare la vita segreta delle cose.